La fusione del mito e della storia

La fusione del mito e della storia

Paolo Levi
Vive in Toscana nella terra del Chianti. La solitudine e il silenzio lo portano a dialogare con forme arcane, antiche, com'è antico lo spirito che lo porta a plasmare o a progettare immagini su estesi fogli da disegno che egli tinge lievemente con gli acquerelli e ampi tratti nervosi. Claudio Nicoli è uno scultore atemporale. Non è poi così importante collocare la sua ricerca in chiave storico-museale ; al contrario, è utile sapere dove è nato e quali radici inconscie lo portano a raccontare in chiave plastica e nobile momenti interiori che scaturiscono da un profondo senso della poesia.

Terra d'Emilia
Egli nasce da una terra di poeti, l'Emilia. È superfluo ricordare Giosué Carducci, Giovanni Pascoli, ma è importante sottolineare la presenza anche di Giovanni Romagnoli, loro contemporaneo, traduttore dell'odissea, come coincidenza non casuale.
Claudio Nicoli è egli stesso "poeta laureato", nell'uso che fa di questa parola Eugenio Montale. Sovente, infatti, anticipa istintualmente, tramite l'astrazione immaginifica del verso, ciò che sarà in seguito il suo costrutto plastico :
Penelope ti aspetta, Ulisse, / e tu le sciogli la tela. / Penelope ti ama, Ulisse, / e tu alzi ancora le tue vele. / Penelope ti chiama, Ulisse, / ti invoca, ti cerca, ma nella camera nuziale / di te non è rimasto / che il malinconico vuoto dell'assenza".
Nasce nel 1958 a San Giovanni in Persiceto, a pochi chilometri da Bologna. "Sono nato con l'argilla in mano", mi racconta. Suo padre lavorava in fornace e gli portava a volte a casa l'argilla perché si divertisse a trasformarla in piccoli mondi plastici di terracotta.
Di quei suoi 12 anni conserva ancora un gruppo di reliquie, Figure, cavalli al trotto.
Avverte: "Sono autodidatta" e pare non trovare alcuna contraddizione nel fatto di avere frequentato, dopo gli studi classici, l'Accademia di Belle Arti di Bologna e di avere avuto, fra gli altri, lo scultore Quinto Ghermandi come maestro. Ma forse ha ragione Nicoli, perché la forma scaturisce esclusivamente da una condizione esistenziale interiore e quindi soggettiva, e questo nessun maestro può spiegarlo né tantomeno insegnarlo.
È approdato a queste ricerche plastiche, a queste ispirazioni mai ripetitive - figure di nudi aristocratici spesso vibranti di vitale sensualità - con rigore ed umiltà, "sbagliando e facendo", come egli stesso dice.
Gli equilibri, i volumi che tagliano ed interrompono lo spazio nascono, appunto, solo dalla sua attenta esperienza interiore. I modelli, i punti di rifeirimento nascono in lui solo dopo i trent'anni.


Le radici culturali
Con i grandi di questo secolo - prendiamo il caso di Marino Marini - più che cercare dei punti di riferimento, ha riscontrato "esclusivamente analogie".
L'essenza della ricerca plastica di Claudio Nicoli, in effetti, nasce dal suo stesso inconscio e da un immaginario che affonda le radici nella nostra cultura mediterranea. Egli attinge al Grande Passato, riportandolo emotivamente in sintesi; si rivolge alla plasticità greca per ciò che concerne gli equilibri e alla enigmaticità etrusca per ciò che iriguarda il "racconto", quasi sempre lasciato in sospeso, allo spirito rinascimentale, dove la conoscenza della forma si trasfigura in ri-conoscenza dinamica.
C'è da esserne certi, quando era ragazzo, sul comodino da notte doveva tenere, al posto della Bibbia, i poemi omerici dell'Iliade, dell'Odissea e l'Eneide di Virgilio. Probabilmente non pregava, ma il suo spirito volava fra Troia e Roma, fra Achille ed Enea.
Ogni suo lavoro - dalle ricerche fortemente espressive ed inquietanti come "L'elmo di Achille", o sensualmente carnali, come "Nudo femminile alla colonna" - non rappresenta mai un paradigma definitivo. Come se seguisse una serie successiva di tappe, egli scatta ogni volta in una nuova azione creativa, in proposte che hanno freschezza di gusto, grande originalità di ideazione, come in "Amanti" del 1997, equilibri arrischiati, come in "Cavallo e cavaliere" dello stesso anno. Egli è uno scultore formalmente disinvolto antiaccademico e antiretorico.
La sua ricerca plastica, come nel "dittico" in bronzo di "Re" e "Regina", è sempre aperta e mai statica. - anzi, egli passa da momenti deliziati e contemplativi come nella "Fanciulla che si spoglia" del 1996, ad altri dinamici e fortemente espressivi, come nel caso del piccolo bronzo "Cavallo e Cavaliere" del 1997, per approdare persino al grottesco che si sposa al mitologico come nel "Piccolo Icaro" del 1997. Ma in ogni opera, anche dove viene incontro un simbolo fallico, a volte prepotentemente esplicito o in altre semplicemente allusivo, egli mantiene il suo accento garbato, che sa sempre elegantemente coniugare all'energia materiale della raffigurazione.
Si veda per esempio un bronzo quale "Guerriero con lo scudo" del 1996 : la forza della trasfigurazione racconta l'immagine in modo ben riconoscibile, ma, nel contempo, si confronta con il senso enigmatico del mito, che viene evocato con lo stesso limpido amore della sua infanzia. L'eroe ignudo, seduto in posizione di chi è pronto allo scatto, con lo scudo in posizione di difesa è un'immagine forte e nel contempo armoniosa, che esprime ogni suggestione di memoria classica nella più spontanea e limpida espressività. In ogni riferimento epico o di amore, nella sua concezione delle forme che sembrano nascere da una struttura interiore invisibile (da uno "scheletro", come ama dire l'artista, che è ben profondo nello studio dell'anatomia) non c'è mai la rappresentazione della morte. Poteva esserci nel "Piccolo Icaro" del 1997 oppure (e perché no ?) nella raffigurazione degli "Amanti", bronzo in precedenza già citato. Al contrario, essi sono ritratti in tutta la loro ombrosità espressiva, drammatica e crudele, mentre il riflesso
della ispirazione poetica li accomuna e li rende eternamente e carnalmente vitali. Achille o Eros hanno la medesima origine mitica, che risiede nell'articolazione plastica dei visi o dei corpi.
Simboli e metafore alludono a una realtà, di cui la materia scolpita è l'unica concretizzazione possibile, come ben sapevano gli antichi Prassitele e Lisippo.

La simbologia
Va sottolineato ancora che egli reca in sé due "musei interiori", due costanti di forza che lo portano ad operare con poetica sapienza e tensione controllata da una mano guidata dalla mente, che plasma e lavora di scalpello la materia.
Reca nel proprio spirito ed humus terreno il Museo "frequentato" per riconoscere e stabilire confronti e quello "interiore" che è viaggio di invisibili emozioni, frutto di incontri e scontri. L'emozione per Nicoli è il momento antecedente all'atto poetico, è la commozione per l'amore che diviene corpo di donna, forma, armonia, materia tattile.
Quando riesce ad esprimere materialmente il sentimento in energia astratta, questa "trascorre" attraverso l'atto, non delle mani artigiane, bensì quello che realizza la perfetta coniugazione di mente e cuore.
Attraverso la nascita magica della forma-oggetto egli può liberare l'impulso ombroso del proprio inconscio.
Sono lavori dove sono ancora una volta visibili le simbologie sessuali, figure maschili effeminate e figure femminile mascoline, commistioni che affondano le proprie radici proprio nel Mito archetipico dell'Ermafrodito. Un giorno Nicoli ha scritto: "Dove la materia si aggruma, là c'è il dolore, dove si spiana, la luce scorre e si adagia".
Vengono incontro all'osservatore attento ricerche plastiche dalle masse mai sbilanciate, sensuali nudi distesi, ritratti quasi a tuttotondo, altre strutture invece sono in incavo, crateri dove penetra l'ombra, dove la luce non scorre più e il messaggio plastico si fa teso, inquieto.
Egli definisce lo scheletro, l'architettura della figura, l'uso della superficie, la pigmentazione che può essere scuro, ottone dorato, marrone, verde. È questa la "pelle della forma", una sorta di decoro ottico, ma in verità il gioco è un altro. Sono qui in atto le combinazioni degli elementi dove la fenditura della luce gioca sulla massa; poi sopravviene e si sovrappone l'ombra che rende arcano il movimento di questi corpi in attesa di eventi. L'osservatore scopre lineeforza, linee di tensione, di dinamismo, di nobile staticità.
"La percezione dell'occhio è un po' come il battito del cuore. Se non si passa attraverso l'ombra non si può vedere la luce - dice Claudio Nicoli - e la scultura è atto d'amore ed atto di verità."
Si avverte in questo artista una fede profonda nell'immaginazione, come unica cifra per captare la realtà. Perché la realtà non si presenta mai nella sua interezza e solo l'artista sa riconoscervi ciò che "potrebbe essere".

La vocazione poetica
Perchè solo attraverso la soggettività lucida del visionario la realtà assume contorni leggibili e comunicabili e traduce l'essenza delle cose in una lingua comprensibile.
Claudio Nicoli procede lungo una linea che ha sempre mirato, sin dagli inizi, all'immagine umana.
Nella produzione di questo fine secolo, l'artista dimostra di essere nel pieno della sua maturità creativa. Grazie alla sua poetica egli può confrontarsi con i Maestri che attraverso i secoli hanno costruito il grande museo della nostra storia dell'arte. Questo specchiarsi, interrogarsi e prendere posizione e, quindi, ogni volta rischiare, è il risultato di una scelta di un proprio linguaggio, di una vocazione irripetibile fatta di tensioni intellettuali inesauste.
Le variabili all'interno delle sue tematiche ne fanno uno scultore versatile: i suoi cicli sono essenzialmente tre, i nudi, i guerrieri e cavalli e cavalieri. I nudi di donna, narrano la bellezza, sono sensuali e nell'atto provocatorio non rappresentano solo la sessualità, ma anche una idealità solare. In quanto alla rappresentazione del mito del guerriero in essa si trova un'immanenza misteriosamente pagana; si tratta di maschere che sono la mimesi simbolica del conoscibile. Non c'è volto umano in cui questa metafora poetica non appaia annidata, quindi scovata, per poterla finalmente liberare e, quindi, riconoscere.
Il tema dei "Cavalli e cavalieri" è forse l'aspetto più importante della sua ricerca, ciclo che lo affascina sin dagli anni giovanili. Egli realizza nel cavaliere l'equilibrio fra volumi metallici e la carnalità epica dei muscoli. Nel cavallo ci si confronta con il vitalismo dinamico della natura animale. Il collo proteso, il muso espressivo che pare nitrisca al sole, le zampe che spiccano un salto, riecheggiano forme monumentali di arcaica bellezza. Queste realizzazioni plastiche realizzano un perfetto equilibrio di masse nella plastica compattezza della forma e si sintonizzano in una vibrazione che accomuna le due diverse nobiltà.
A Claudio Nicoli si deve dare atto che, all'interno di ogni suo lavoro, si avvertono in modo nitido premesse arcaiche, che nulla tolgono a un pathos contemporaneo.
Nella sua sperimentazione si nota ancora un costante rovesciamento delle regole tradizionali.
Egli riesce ad essere eretico e nel contempo severo, rigoroso nel suo richiamo alla classicità, e rivoluzionario nell'esplicitare le lezioni apprese dalle modalità della raffigurazione contemporanea.
"L'amor fati" è da sempre la sua musa: un fato le cui memorie sono antiche, e parlano di apollo, Dioniso, Eros. Emblemi, archetipi primordiali di un artista che, in una sua poesia assai bella, canta: "Icaro presuntuoso, / pazzo, disarmato / rapido colpo d'ali, / incurante cavalieri, / caduco, / all'ombra dei loro scudi, / rifiutasti, / per morire infine, / libero."